lunedì 25 giugno 2012

Dalla libertà di parola alla libertà della parola, una revisione dell'ovvio

di Fabio Leli

La presente riflessione pone le sue basi dall’analisi del termine “confronto”. Tale termine, sia esso associato alla politica, alla cultura, alla religione, allo sport, all’etnia, è stato sempre più spesso associato ad un altro termine che ha tutt’altro significato, "scontro".
Un confronto che si traduce in scontro ha nei suoi assunti l’idea che ciascuno possa rivendicare, in nome della “Democrazia” e della “Libertà di parola”, il diritto di poter dire e di fare quello che gli pare, ma soprattutto sentirsi in dovere di imporre le proprie idee agli altri.

Ma cos’è la Libertà di parola? E cos’è la Democrazia?

Parlare in nome della Libertà di parola esprime l’esibizione di un’identità, l’ostentazione di un ruolo che si impone col silenzio, con l’interrogazione, con l’affermazione e con il voler sentire. In altri termini, la Libertà di parola significa rendere la parola oggetto di un discorso che può anche comunicare il falso, manipolare, strumentalizzare e deviare l’attenzione dai reali problemi della gente. Perciò, ostentare la Libertà di parola significa prevaricare la parola, possederla, pensarla quale oggetto di consumo per vincere uno confronto dialettico.

Stesso identico discorso è valido per coloro che si riempiono la bocca della parola Democrazia. Essa è l’esaltazione dell’identità di ognuno, ma in realtà l’etimologia di Democrazia è governo del popolo e non di un individuo che impone le proprie idee agli altri.

La libertà di parola non è un'espressione positiva se analizzata con le parole di Niccolò Machiavelli ne Il Principe (1513) : "Un principe che può fare ciò che vuole è un pazzo, un popolo che può fare ciò che vuole non è savio."
Tale citazione spiega come "il fine giustifica i mezzi" sia completamente estraneo al pensiero "machiavellico" secondo la comune ed ovvia accezione negativa. Eppure, nell'attuale forma sociale dobbiamo essere sia capaci e abili di dire e di fare quello che ci pare, sia di giustificare il fine con qualsiasi mezzo. Diktat che farebbe rientrare ciascuno di noi in quella che Machiavelli chiamava "pazzia".

Esiste una soluzione per superare il rapporto dicotomico soggetto-oggetto dell’attuale forma sociale in cui si è presi in considerazione soltanto se si è utili e servili: lasciar libera la parola. Dobbiamo inventarci una nuova lingua, l’alingua (la parola che diviene Soggetto), affinché il linguaggio di ciascuno non sia espulso a beneficio di un’unica lingua ufficiale e monologica.

Oggigiorno l’oggetto ha l’illusione di essere libero, ma è la menzogna massima dell’egemonia di colui che concede la parola. La questione non è chi parla (la par condicio di chi possiede la parola e poi la passa all’altro), ma la condizione all’ascolto. Una cosa gentile che si può fare con la parola nei confronti della parola dell’altro è quella di mettersi in ascolto. Questo significa rinunciare alla libertà di parola per realizzare quel che possiamo chiamare Libertà della parola, cioè mettersi in ascolto, ossia far ritrovare alla parola la sua originaria vocazione che è quella di essere ascoltata. Quindi, il confronto autentico non lo si può ottenere né con lo scontro, né con l’imposizione, ma con l’ascolto spontaneo fuori dai generi e dalle categorie comuni del discorso dominante.

In un'autentica forma sociale equa e solidale, fondata sulla partecipazione diretta dei cittadini, l’altro, l’altrui essere umano, l'estraneo, lo straniero, è la possibilità di fuoriuscita dal rapporto soggetto-oggetto, prefigurando un vivere insieme, fuori dai generi comuni del discorso, al di là dei ruoli sociali ufficialmente istituiti. Una forma sociale in cui non il tempo di lavoro, ma il tempo disponibile – disponibile per l’altro – sia finalmente riconosciuto come la vera ricchezza sociale.
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